I DIVIETI INASCOLTATI: NEI FIUMI SI MUORE ANCORA
Fiumi che si trasformano in luoghi di morte, gorghi che diventano trappole fatali, acqua che inghiottono vite, sogni e speranze.
Con il ritorno dell'estate, in Veneto torna purtroppo a correre la tragica ondata di morte che scorre lungo i corsi d'acqua della regione. Il caldo spinge le persone a ignorare i divieti, induce ancora molti a tuffarsi dove non si può, dove le onde e le correnti non danno scampo. L'ultimo episodio è accaduto mercoledì pomeriggio, nel trevigiano: a San Biagio di Callalta è morto un giovane di soli 21 anni, originario del pordenonese: si era tuffato nel Piave insieme a un amico, dopo il turno di lavoro, ma è stato trascinato a fondo e non è più riemerso, perdendo la vita.
Troppi, i precedenti in quel punto, a metà tra San Biagio e Ponte di Piave, per non poterne rimarcare al pericolosità, anche in un momento tragico in cui non serve - in realtà - coprire il dolore con la rassegnazione. In quel punto del fiume Piave la scia di morti purtroppo è lunga: tre anni fa morirono annegati due giovani ragazzi di origine senegalese, di 14 e 18 anni; nel 2019 perse la vita un 24enne di Marghera; pochi giorni dopo, a Segusino, morì un 25enne nordafricano, sempre lungo il Piave.
La mente di tutti, oggi, corre però alla tragedia consumatasi nel Natisone esattamente un anno fa: era il 31 maggio del 2024 quando tre ragazzi - la 21enne Patrizia Cormos, la 23enne Bianca Doros e il 25enne Cristian Casian - morirono dopo essere stati travolti da una piena improvvisa del fiume, mentre erano lungo la riva a Premariacco. I fiumi, oltre a essere impetuosi, sono imprevedibili: quel giorno, dopo le violente piogge e monte, la portata del Natisone balzò in due ore da 20 a 135 metri cubi al secondo. Anche lì, l’area era indicata come pericolosa, c’erano cartelli che segnalavano il rischio di annegamento e vietavano tuffi e bagni. Un tratto in cui ancora oggi, nonostante tutto, capita di vedere ancora persone aggirarsi in cerca di refrigerio.
Esattamente come accade a Campo San Martino, nel padovano, una spiaggetta lungo il Brenta dove in vent'anni sono morte già dieci persone, e dove tutte le domeniche d'estate ancora si vedono bagnanti. Noncuranti dei divieti, noncuranti del rischio e del pericolo che corrono, in quella che è stata soprannominata la "spiaggetta della morte". Il consigliere regionale Luciano Sandonà ha scritto una lettera al Comune, al Genio civile di Padova e all’assessore regionale all’Ambiente, chiedendo una chiusura temporanea del tratto più pericoloso, tra giugno e settembre.
I divieti evidentemente non bastano. Ma i fiumi, purtroppo, non guardano in faccia a nessuno. E in Veneto, ogni anno, si continua a morire così.