STUPRATORE A PIEDE LIBERO: IL MINISTRO ORA SPIEGHI
Potrebbe aver aspettato la sua vittima, e averla pedinata per quasi quaranta minuti prima di entrare in azione. Massimiliano Mulas, l'uomo arrestato e accusato dello stupro consumato giovedì scorso a Mestre, ora si trova nel carcere di Gorizia, ritenuto più idoneo di quello di Santa Maria Maggiore in cui era stato inizialmente rinchiuso.
Ma parallelamente alle questioni giudiziarie, che vedono gli inquirenti verificare anche la testimonianza di una persona che l’avrebbe visto già fuori dalla palestra della sua giovane vittima, c'è nel frattempo un dibattito che continua a ribollire nella società civile, e per conseguenza anche la politica italiana. Com'è possibile che uno stupratore seriale fosse a piede libero e ancora in grado di nuocere?
Il curriculum di Mulas è di quelli che fanno impallidire: condannato nel 2002 a 4 anni e sei mesi per tentata violenza ai danni di una turista; nel 2006 una nuova condanna a 8 anni e 3 mesi per due violenze sessuali, poi l'ultima pena espiata nel 2021. Da allora aveva girato l'Italia, senza riuscire però a stare lontano dai guai, visto che era stato successivamente denunciato per essere stato pizzicato in possesso di un coltello. Chissà quella volta quali sarebbero state le sue intenzioni.
Sta di fatto, che l'Italia continua a chiedersi come sia stato possibile. Il senatore democratico Andrea Martella, leader del PD Veneto, ha presentato un'interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Nordio, chiedendo che il ministero spieghi come mai non fossero previste misure di sicurezza preventive per Mulas, e quali iniziative intende assumere il ministro per evitare che simili episodi possano ripetersi. Dubbi che ora assalgono tutto il parlamento, non solo le opposizioni. "Serve ripensare seriamente alla mia storica proposta di una 'castrazione chimica', una misura temporanea e con effetti reversibili per soggetti patologici e seriali", ha tuonato il ministero leghista Roberto Calderoli. Per la presidente della Commissione parlamentare sul femminicidio, Martina Semenzato, di Coraggio Italia, bisogna invece aprire una "profonda riflessione sulla funzione rieducativa della pena".